Due le storie d'amore, le solitudini, le singolarità narrate nei due monologhi (autonomi) dall'autrice, che la regia desidera rappresentare in una sola serata per restituire la positività del maschile de "Il marito di Vlasta" che si contrappone a quello narrato in "Ciò esula" in cui Luciana, la protagonista, racconta tra leggerezza e crudezza uno spaccato sociale della periferia romana (o di altre metropoli) di cui il pubblico che frequenta i teatri è a conoscenza attraverso informazioni rapide di attimi di vita a cui la cronaca ci abitua lasciandoci, ormai, quasi indifferenti. Ludovica Ripa di Meana ci restituisce la singolarità e l'anima di chi diviene, suo malgrado, protagonista relegato/a ad analisi sociologiche deprivate di storia e memoria. Luciana è il femminile: materno, intelligente, incolto, poetico e il cui uomo (Mario) fa sparire il loro bambino per vendicarsi di quell'ultima e definitiva richiesta di "volgare" sottomissione fisica e coercitiva a cui Luciana si ribella abbandonandolo. La banalità del male (H. Arendt) e il danno si radicano, ci dice l'autrice, in qualsiasi forma di violenza. Il "lui" negativo (Mario), diviene positivo ne: "Il marito di Vlasta" uomo che cogliamo in una qualsiasi giornata, al rientro del suo lavoro, dove tutto si ripete come nei giorni precedenti in cui, la presenza di Vlasta (la moglie), rendeva diversi. Senza amore, ogni gesto perde senso, la quotidianità rivela la sua pochezza e l'abisso della solitudine (che i fatti di cronaca non possono narrare) irrompe per raccontare la fragilità (che si rivela alla fine) anche dell'uomo troppo spesso nascosta nella fattività e nell'efficientismo. Il dramma, via via che i personaggi si narrano, costruisce le identità sensibili che vanno oltre gli accadimenti, poichè l'essere umano, colui/colei che agisce con bontà ha in sé la poesia che vuole essere riconosciuta dal mondo. Luciana uscirà dall'interrogatorio, nonostante i fatti che racconta, salutando quel Mario che è la ragione del suo essere lì. Il Marito di Vlasta, a se stesso brutto e goffo, non perdona a Dio l'averlo privato della moglie cèka, mai veramente inseritasi a Roma, e sposata nel 1967. Egli, rivolto a Dio, dice "due che siamo uno" e il mondo dell'amore, tra due pareti si fa immenso, insostituibile. Ma Dio dov'è? Chiedono la giovane Luciana e il non più giovane Marito di Vlasta? Molti i temi e le riflessioni che tra dramma, leggerezza e sorriso, Ripa di Meana che guarda con una lente d'ingrandimento l'animo umano e la societè, ci regala. Ludovica Ripa di Meana scrive romanzi e testi teatrali in versi, in una lingua che riesce a conciliare con grande fascino per lettore e spettatore, la preziosità dell'italiano con l'idioma romanesco. Ciò Esula ha partecipato al concorso @ festival itinerante di cinema indipendente delle donne 2007-2008organizzato da: "Il Trust nel nome della donna" (Milano)