Futuro senza guerre

Identità femminili nei conflitti

On. Elettra Deiana

Elisabetta Donini

Yael Meroz

Nurit Peled

Giuliana Sgrena

Teramo, 9 maggio 2003

Convegno di Teramo: “Futuro senza guerre – costruiamo insieme”
Organizzato da Maria Inversi

Intervento di Nurit Peled

Questo pomeriggio vorrei essere qui coi miei bambini per piantare un albero di pace nel bosco della madre e del bambino. Gli alberi da sempre sono stati simbolo di pace, di vita, di prosperità. In Israele noi abbiamo una meravigliosa usanza: si pianta un albero per ogni nuovo nato, e la foto di questo albero viene appesa sopra il suo letto come simbolo di vita e di speranza. Ora, oggi, in Israele, questi stessi bambini, che hanno alberi che portano i loro nomi e la cui foto decora le loro camere d'infanzia, sradicano crudelmente gli alberi dei loro vicini. Bambini ebrei e sionisti strappano, diventando soldati, gli ulivi – simbolo della pace – e distruggono le vigne – simbolo della prosperità – ai palestinesi, privandoli così di tutti i mezzi di vita, condannandoli a una morte di umiliazione e di fame. Questi soldati israeliani, ragazzi giovani, beneducati, figli di amici miei, che si arruolano per servire il loro Paese, ricevono dai loro comandanti l'ordine di strappare boschi interi, e ora l'albero tagliato è diventato, in questo Paese assassino e sanguinante, il simbolo della crudeltà, della disperazione, e del razzismo cieco che lo domina. I figli dei palestinesi che hanno perduto uliveti e vigne, onore e vita, case e speranza, diventano dei terroristi suicidi perché non hanno più niente da perdere. In questo inferno non restiamo che noi, le vittime delle due parti che cercano di arrestare questa follia. Noi siamo i soli che cercano di salvare questi bambini dalla loro terribile sorte di carnefici e vittime, che cercano di spiegare ai giovani israeliani idealisti che servire il loro Paese non vuol dire obbedire come dei robot agli ordini mortiferi, che cercano di convincere i bambini palestinesi che il loro popolo ha bisogno di loro vivi e non morti. Noi siamo i soli a gridare alle orecchie del mondo intero che per i nostri bambini morti non c'è differenza tra ciò che il mondo chiama terrorismo e ciò che chiama guerra contro il terrorismo. Per la mia piccola figlia che è morta a Gerusalemme perché era israeliana e per i piccoli bambini che muoiono a Gaza e a Jenine e a Ramallah perché essi sono palestinesi, questa differenza non esiste più. Perché l'uno e l'altro, il terrore e il controterrore, significano la morte impietosa degli innocenti. Perché in effetti non esistono delle uccisioni civilizzate di innocenti e delle uccisioni barbare degli innocenti. Non esiste che l'uccisione criminale degli innocenti. Ciò che conta per i nostri bambini è il fatto che noi, gli adulti, i genitori, non riusciamo a proteggerli e a salvarli. Che essendo preoccupati dei problemi di identità, di razza, di diritti storici o mitologici, noi dimentichiamo l'essenziale, noi dimentichiamo che la morte di un bambino, non importa quale, è la morte del mondo intero, del suo passato e del suo avvenire. E che dopo la morte di un bambino non c'è più la morte perché non c'è più la vita. In questo mondo che si dice progressista, tollerante e umanista, ci sono persone che si CHIAMANO capi di Stato, che si servono di valori nobili quali la libertà, la democrazia, e la giustizia per commettere dei crimini contro l'umanità. Che parlano della prosperità di tutto il mondo spogliando fino alla morte i bambini degli altri. E' tempo di ripensare questi valori, di ridefinire dei termini quali i diritti dei bambini, i doveri degli adulti, ridefinire l'educazione. Spiegare ai bambini che gli argomenti politici e religiosi non servono che al genocidio. È tempo di crearsi nuove identità, inclusive piuttosto che esclusive di identità di cui il comune denominatore sarà la maternità e il pacifismo. Non c'è nessuna parola che sia così carica di senso, ideologica e emozionale come la parola NOI. E' tempo ora di ripensare questa parola, di ridefinire il nostro noi. Noi, le vittime del terrorismo e della guerra contro il terrorismo, noi a cui la morte dei nostri bambini ha dato una nuova voce, noi l'abbiamo già fatto. Quando io dico noi voglio dire le madri e i padri che desiderano la pace a qualsiasi prezzo. Quantunque io sia nata ebrea e israeliana, quando io dico noi io non includo in questa parola le madri ebree e israeliane che educano i loro figli sulla terra rubata ai palestinesi, io non includo in questo noi i padri che educano i loro figli a credere che ci siano dei bambini che non meritano di vivere. Io includo in questo mio noi, in questa nuova identità che ho ricevuto dalla morte, l'identità della madre vittima, tutte le altre madri vittime di qualsiasi altra nazionalità, palestinese, irachena, afgana o curda. Io includo Najakh, la giovane madre palestinese che ha perduto il suo bambino di dieci anni e che non ha che tenerezza per la mia bambina; io penso a Khaled che, 20 giorni dopo aver trovato suo figlio bucato dalle pallottole, è partito con me per egli Stati Uniti per parlare della pace, e quando è riuscito a telefonare a sua moglie le ha detto di smetterla di piangere per il suo bambino ma di piangere per la mia. Quando io dico noi penso al professor Gazawi, che come me ha vinto il premio Sakharov, che dopo aver perduto suo figlio di 15 anni, ucciso dai soldati israeliani, si è precipitato per aiutare un amico ferito, ha fondato un gruppo di dialogo di scrittori israeliani e palestinesi, e vi ha incluso la famiglia Sartawi, famiglia che ha perduto il proprio padre perché ha osato essere amico del mio e ha osato sognare con lui la pace tra i due popoli. Io includo anche tutti i miei amici israeliani che hanno fatto un voto sulle giovani tombe dei loro bambini, di non perdere la loro ragione. Io invito tutti i genitori del mondo a riunirsi in questa collettività le cui fondamenta sono la paternità e la maternità, ad alzare la loro voce sino a quando esse non sprofondino le altre voci che dominano il mondo: quelle dei politici corrotti e megalomani, dei generali crudeli, dei businessmen senza scrupoli che conducono il mondo intero alla sua perdita. La maternità è più forte di qualsiasi nazionalità, qualsiasi mitologia, qualsiasi interesse economico. Io vorrei vedere le famiglie belghe incoraggiare i loro governanti a giudicare e a punire i criminali in uniforme tanto quanto i criminali civili, affinché qualsiasi uccisore di bambini sappia che non esiste alcun angolo in questo universo ove egli possa nascondersi dalla giustizia. Che i genitori di tutti i bambini non sopportino più l'assassinio di qualsiasi bambino in nome dell'ordine e della giustizia. Noi non abbiamo bambini da sprecare in queste inutili guerre. Non abbiamo bambini da sacrificare al dio della vanità, dell'arroganza, della megalomania. Per i capi di Stato i bambini sono delle entità astratte: voi me ne uccidete uno, io ve ne ucciderò trecento, e il conto è regolato. Ma io che ho perso la mia piccola Smadar, io so che la nozione della vendetta è ridicola. Come diceva il grande poeta ebraico Bialik dopo i pogrom in Russia contro gli ebrei, Satana non ha ancora creato la vendetta del sangue di un bambino. Come scrive Marguerite Duras: "La morte di non-importa-chi è la morte intera. Non-importa-chi è tutto il mondo. E questo non-importa-chi può prendere la forma atroce di un bambino in corsa... Non ci sarà più nulla da scrivere, nulla da leggere. Non ci sarà che l'intraducibile della vita di questi morti così giovani, giovani da urlare". Voglio citare una frase di Anna Achmatova, che ha sofferto tanto della crudeltà del regime oppressivo del suo Paese, e che ha perduto il suo bambino. È ciò che avrei detto a mia figlia Smadar quando l'ho vista per l'ultima volta, prima di tornare sui miei passi e abbandonarla a mani straniere: "E perché questo filo di sangue sul petalo della tua gota?". Io che non ho saputo proteggere mia figlia contro le conseguenze degli atti del suo stesso Paese, io vi invoco, voi madri che non avete ancora perduto i vostri figli: proteggete i vostri bambini, non lasciateli diventare pedine in questo terribile gioco di scacchi. Traduzione di: Maria Inversi